Ora poi che, essendo venute in uso
le sorbettiere americane
a triplice movimento senza bisogno di spatola,
si può gelare con meno impazzamento di prima
e con maggiore sollecitudine,
sarebbe peccato il non ricorrere spesso
al voluttuoso piacere di questa bevanda.
Pellegrino Artusi Rintracciare le
origini del gelato nell’antichità è complesso: i riferimenti alla refrigerazione di frutta, latte e miele si incontrano sia negli antichi testi sia nelle cronache delle scoperte archeologiche più note.
Nella Bibbia Isacco offre ad Abramo
latte di capra misto a neve: uno dei primi
mangia e bevi della nostra storia.
Negli scavi archeologici dell’antica Troia sono state portate alla luce fosse destinate a conservare il ghiaccio e la neve, accumulati in strati ricoperti con foglie e paglia.
Una tradizione storica racconta che re Salomone era un grande consumatore di bevande ghiacciate e che Alessandro Magno, durante le sue campagne in India, pretendesse un continuo rifornimento di neve da consumare mescolata a miele e frutta durante le marce e le battaglie.
Alcuni studiosi fanno risalire l’origine del gelato a
circa 3.000 anni prima di Cristo presso le popolazioni dell’estremo Oriente, in particolare cinesi: mediante le invasioni mongoliche, il gelato sarebbe, in seguito, approdato in Grecia e in Turchia, espandendosi agli altri paesi del bacino del Mediterraneo.
Gli antichi faraoni egizi, tra le portate più ambite dei loro sontuosi banchetti, annoveravano primitive forme di granite. Cleopatra offrì con successo a Cesare ed Antonio frutta mescolata a ghiaccio.
I Romani producevano le
nivatae potiones.
Il generale Quinto Fabio Massimo inventò una ricetta tipo sorbetto; Quinto Massimo Gorgo afferma che il primo ad introdurre ufficialmente nei banchetti l’uso del gelato fu l’imperatore Nerone, il quale nell’anno 62 d.C. offrì ai suoi invitati una bevanda consistente in frutta tritata, miele e neve.
Durante il
Medioevo, in Oriente, venne realizzata la decisiva scoperta del sistema per congelare i succhi di frutta ponendoli in recipienti circondati di ghiaccio tritato.
La parola
sorbetto sembra tragga origine proprio dall’arabo
scherbet =
dolce neve oppure dall’etimo, sempre arabo,
sharber = sorbire, da cui passando attraverso la lingua turca, sarebbe stato coniato il termine
chorbet.
I Crociati, di ritorno dalla Terra Santa, portarono sulle mense dei ricchi d’Europa raffinatissime ricette di sorbetti a base di agrumi, gelsi e gelsomini.
Marco Polo, verso la fine del XIII secolo, al termine del suo famoso viaggio in Asia, riportava dalla Cina nuove idee per il congelamento artificiale, grazie ad una miscela di acqua e salnitro.
Nel corso del Medioevo i sorbetti spariscono dalle mense insieme ad altri cibi raffinati, accusati di simboleggiare il peccato.
Alla fine del ‘300 risorge l’arte del vivere e del mangiar bene insieme al consumo dei sorbetti.
Il vero e proprio trionfo del dolce freddo sulle tavole dei potenti avviene nel
Cinquecento, con l’afflusso dai nuovi continenti di frutta, piante nuove, aromi e spezie, tè, caffè, cacao.
Presso la corte medicea di Firenze, i sorbetti hanno un posto d’onore all’interno delle feste e dei banchetti. Originariamente somiglianti alla gremolata, furono in seguito sostituiti da un vero e proprio gelato montato, ottenuto roteando il liquido da congelare in primitive sorbettiere immerse in mastelli di legno pieni di ghiaccio frantumato e sale.
La miscela così ottenuta veniva poi immessa in stampi di metallo, mantenuti molto tempo sotto il ghiaccio, a forma di piramidi, di frutti giganteschi, di agnelli, di colombe, che, sformati al momento del pranzo su capaci vassoi, facevano da coronamento ai sontuosi convivi dell’epoca.
Il primo ad introdurre a corte questa novità, fu un certo
Ruggeri, un fiorentino venditore di polli: partecipando ad un concorso indetto dai signori di Firenze, con il suo sorbetto vinse e divenne famoso in tutta la regione.
Caterina de’ Medici, quattordicenne, sposando Enrico d’Orleans, volle il Ruggeri con sé a Parigi: in tal modo si trasferì in Francia la ricchezza culturale del
Rinascimento italiano.
A Firenze frattanto si affermava
Bernardo Buontalenti, artista insigne, uomo dall’ingegno multiforme, animatore incomparabile dei festini del granduca Cosimo I.
Avendo ricevuto l’incarico di organizzare i festeggiamenti per accogliere una delegazione spagnola, Buontalenti allestisce rappresentazioni teatrali nei giardini e sull’Arno, un grande spettacolo nella fortezza da Basso, fuochi artificiali, per i quali è soprannominato
Bernardo delle Girandole, e prepara una crema aromatizzata con bergamotto, limoni ed arance, refrigerata con una miscela di sua invenzione.
Le testimonianze storiche dell’epoca attestano che fu proprio il geniale artista ad escogitare un’importante innovazione nell’arte della conservazione della neve: quest’ultima veniva raccolta durante le precipitazioni invernali e pressata dentro cantine foderate di paglia per mantenerla più a lungo.
Buontalenti ideò speciali costruzioni semi interrate, dotate di un’intercapedine, riempite di sughero e foderate di legno e canne per consentire lo scorrere dell’acqua mano a mano che il ghiaccio si scioglieva, situate all’esterno delle mura della città, in
Via delle Ghiacciaie, una strada tuttora esistente.
Il siciliano
Francesco Procopio de’ Coltelli, un secolo dopo, con una rudimentale sorbettiera costruita e lasciatagli in eredità dal nonno, affrontò l’avventura di un lungo viaggio sulle strade della nostra penisola infestate dai briganti, con l’intento di conquistare Parigi.
Nell’anno 1660 aprì il suo primo caffè-gelateria nella capitale transalpina.
Luigi XIV, il Re Sole, lodò pubblicamente i suoi prodotti contribuendo ad aumentare il suo successo. In seguito ampliò il suo locale e si trasferì alla rue de l’Ancienne Comédie Française, aprendo un ritrovo al quale diede il proprio nome, chiamandolo
Café Procope, diventato poi uno dei più celebri caffè letterari d’Europa.
Francesizzato con il nome di
François Procope de Couteaux, l’insigne italiano fu invitato a Versailles per ritirare dalle mani del re uno dei più ambiti riconoscimenti dell’epoca: le
lettere patenti , significanti quasi la concessione dell’esclusiva sulla produzione di specialità come “acque gelate” (l’odierna granita), “gelati di frutta”, “fiori d’anice e di cannella”, “frangipane”, “gelato al succo di limone”, “al succo d’arancia”, “crema gelato”, “sorbetti di fragola”.
Un altro gelatiere italiano che incontrò il successo a Parigi fu il
Tortoni, il quale fondò il celebre
Café Napolitainse, locale rinomatissimo nel quale Gioacchino Rossini si recava per ristorarsi.
All’inizio del 1700 il dolce freddo è pienamente affermato in tutte le corti e capitali d’Europa mentre contemporaneamente, nei caffè più prestigiosi di Venezia, Torino, Napoli e Palermo, trionfano menu speciali a base di gelato.
Negli Stati Uniti il gelato riscuote un’indicibile fortuna: merito del genovese
Giovanni Bosio, che, nel 1770, apre a New York la prima gelateria.
Nel 1906, nei caffè di Milano appaiono le
parigine o
nuvole, una porzione di gelato compressa tra due ostie di pasta wafer rotonde, quadrate o rettangolari, inventate da
Giovanni Torre di Bussana, che, di ritorno da Parigi, inizia il commercio ambulante di gelati.
All’inizio del secolo i nostri gelatieri, soprattutto veneti, invadono le capitali della Mitteleuropa, consolidando la vendita ambulante di gelato soprattutto in Austria ed in Germania.
Oggi
oltre 5.000 moderne gelaterie italiane ,soprattutto nei paesi di lingua tedesca, in Olanda e in altri paesi del Nord danno occupazione ad oltre 15.000 addetti, per lo più italiani.
Il bolognese
Otello Cattabriga, nel 1927, costruì
la prima gelatiera automatica e, rendendo il lavoro meno faticoso, permise anche al gentil sesso l’ingresso nei laboratori di produzione.
Tra gli anni ‘50 e 60 la vera produzione di gelato artigianale rischia di scomparire, con il successo clamoroso dell’ice-cream, il gelato industriale, ampiamente reclamizzato e distribuito.
Fortunatamente, l’opera di un
Comitato di gelatieri, ha portato ad una vera e propria rinascita del settore: da poche migliaia, oggi le gelaterie artigianali in Italia sono
circa venticinquemila, un primato che tutto il mondo ci riconosce.